Marco Biagi, il riformatore che anticipò i tempi

milestone - Dieci anni dall'omicidio di Marco Biagi - Dieci anni dall'omicidio di Marco BiagiCosa resta del pensiero di Marco Biagi a 15 anni dalla sua morte per mano delle Brigate rosse? Cosa resta del suo riformismo illuminato nella legislazione vigente e nel dibattito sul lavoro? La recente e contestata decisione del governo di procedere sui voucher non con il buon senso del riformismo, riportando alla propria ragion d’essere uno strumento che si è rivelato utile per l’emersione del lavoro nero, ma inseguendo posizioni oltranziste e ideologiche, ebbene tutto ciò, nella settimana che commemora la figura di Marco Biagi, suona come un sostanziale atto di resa all’immobilismo. Il giuslavorista bolognese, in un clima di grande ostilità e violenza, comprese, prima di altri, che le regole del lavoro si dovevano adeguare alle nuove forme emergenti della produzione; che per governare i cambiamenti economici e sociali del XXI secolo occorrevano forme più articolate di contratti; che, soprattutto, la discontinuità del lavoro non si sarebbe combattuta con i proclami e le trincee ideologiche ma stendendo una rete di protezione sociale tra un lavoro ed un altro con un sistema di ammortizzatori sociali più inclusivo.

Tanto nella legge 30, che porta il suo nome, quanto nelle successive e parziali riforme che hanno ridisegnato a più riprese le regole del lavoro, dalla riforma Fornero al Jobs act, questa parte del pensiero di Biagi – la più importante per chi ha apprezzato nel tempo il suo contributo intellettuale – è rimasta sostanzialmente inattuata. E ne abbiamo soppesato gli effetti con la successiva recessione economica. Oggi, a 15 anni dalla morte crudele di un uomo mite, la politica procede a tentoni, senza un chiaro e coerente disegno riformatore. Lo stesso Jobs act, come la Cisl ha evidenziato in tempi non sospetti, pur introducendo novità importanti per superare l’annoso dualismo del mercato del lavoro italiano, non ha creato posti di lavoro per il semplice motivo che non sono le regole a creare occupazione ma gli investimenti, mentre la parte riguardante la rete di protezione sociale procede a rilento, con poche risorse e una platea di potenziali beneficiari ancora troppo ristretta rispetto alle crescenti necessità. Vale per il reddito di inclusione, ma anche per il cosiddetto assegno di ricollocazione. Sul fronte degli ammortizzatori sociali, insomma, non si riesce ad andare oltre la sperimentazione, segno inequivocabile che si procede per tentativi ed errori, senza una strategia chiara.

Nel vuoto della legislazione nazionale si muove il reddito minimo di inserimento nella nostra regione, strumento concepito per attraversare la lunga notte della crisi e dare una risposta al popolo degli espulsi dai cicli produttivi e delle persone in condizione di povertà. Una misura dal parto travagliato che ha accumulato ritardi su ritardi, incastrata dentro un inestricabile ginepraio burocratico, quasi a misurare la distanza siderale tra l’urgenza dei bisogni collettivi e la lentezza del decisore pubblico dentro uno scenario sociale, culturale e tecnologico in rapida evoluzione.

Qualche anno fa si parlava dei cambiamenti sociali come di qualcosa di là da venire, materia per sociologi e futurologi. Oggi siamo immersi nel fluido del cambiamento. Ne misuriamo ogni giorno la portata rivoluzionaria e l’impatto sulle nostre abitudini di vita. L’innovazione tecnologica sta ridisegnando in un lasso di tempo brevissimo il modo di produrre beni e servizi. Robotica di ultima generazione, intelligenza artificiale e cloud computing rimodellano quotidianamente i sistemi organizzativi delle aziende e ridisegnano la concezione stessa del lavoro. In questa fase il tema è: come si governa la quarta rivoluzione industriale? Come si riduce il gap di competenze di chi rischia di essere tagliato fuori dai benefici del nuovo mondo? Come si tutela chi non ce la fa? Domande che Marco Biagi ebbe la sensibilità e la profondità intellettuale di cogliere con largo anticipo sui tempi. Fu troppo innovatore in un paese abbarbicato ai totem del ‘900. E pagò il suo coraggio con la vita.

Nino Falotico

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